La memoria degli oggetti

Arman

Dal 7 febbraio al 15 marzo 2019

Una selezione di importanti opere storiche di Arman, dagli anni Sessanta ai Settanta, mostra come il percorso di uno degli artisti più significativi non solo del Nouveau Realismema di tutto il XX Secolo, abbia attraversato la sfera del quotidiano dandogli la forma dell’assemblaggio, dell’accumulo dei frammenti o della de-costruzione, sollevando nello spettatore un nuovo senso critico sulle cose e sul mondo.

E’ dal Boom consumistico e tecnologico degli anni Sessanta che Arman si concentra su un’idea dell’oggetto insieme repulsiva e seducente, la cui proliferazione, anche in termini di scarti e rifiuti, è evidente in opere quali Accumulation Renault (1969), Colere de Television (1976), Striptease (1963) e Petit Aleph (1978). Nell’accumulazione numerica l’oggetto perde la sua funzione e diventa forma e colore, passando da massa produttiva a massa estetica. Memore delle visite alle fiere tecnologiche in compagnia del padre quando era bambino, Arman si concede da artista una vivisezione della tecnologia che ne scopre i meccanismi e procedure. Così lo sguardo di Arman si posa indifferentemente sia sugli oggetti tecnologici, sia su oggetti che già negli anni Sessanta apparivano come macchine primitive, come vecchi lucchetti arrugginiti (Portrait de Famille, 1965), asce o rocchetti di filo. 

Sono gli strumenti musicali che nell’opera di Arman, consumato melomane, subiscono il maggior numero di variazioni di trattamento, non soltanto assemblati, ma anche bruciati, sezionati, esplosi, inclusi nel cemento o nella plastica. Quantuor (1969) e Free Jazz (1971) rappresentano questo poliedrico passaggio degli strumenti attraverso le manipolazioni dell’arte. Queste opere mettono anche in scena un senso di rivolta nei confronti dei generi accademici e istituzionali, rappresentati dagli strumenti classici della musica, una ribellione nei confronti delle regole, presente negli stessi termini anche in Fluxus, che spezza, piega, taglia, frammenta e brucia i ponti della tradizione, rappresentata dagli strumenti musicali convenzionali. 

La prospettiva di Arman sul tempo della tecnica associato al tempo dell’umano e ai suoi strumenti, anche quelli ludici come i violini o le palline da ping-pong di Sans Titre (1966), acquista quindi oggi una particolare rilevanza in un momento storico in cui l’aggiornamento tecnologico s’è fatto sempre più instancabile e immediato, facendo assumere all’opera di Arman anche il valore di una profonda considerazione sul tempo e sull’identità umana in relazione ai suoi prodotti. 

La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) con testo critico di Gianluca Ranzi.

Comunicato stampa